La struttura dell’illecito previsto dalla 231

 

Nei precedenti interventi abbiamo sottolineato come lo scopo principale della normativa sia spingere gli enti a porre in essere un sistema organizzativo incentrato sulla adozione di Modelli che siano idonei, e adeguati, a prevenire la commissione dei cosiddetti delitti presupposto; tali modelli dovrebbero preventivamente escludere l’insorgenza dell’illecito (si veda il seguente link: https://studiolegalebroglia.com/2022/03/19/d-lgs-231-2001-_02/).

Come pure già anticipato, il paradigma della responsabilità che stiamo esaminando si fonda sulla commissione di uno dei reati presupposto ad opera di un soggetto qualificato, inserito nella struttura dell’ente, che lo abbia commesso a vantaggio o nell’interesse dell’ente stesso.

La norma, pertanto, prescrive criteri sia

  • oggettivi, ossia criteri che richiedono che l’autore dell’illecito rivesta una determinata funzione o posizione all’interno della società, sia anche
  • soggettivi, incentrati sulla mancata adozione o la non corretta supervisione dei modelli tesi a evitare la commissione dei reati presupposto.

 

I criteri di imputazione soggettiva

 

Gli autori del reato presupposto

Abbiamo accennato in particolare come, in virtù dell’art. 5 del Dlgs. 231/2001, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

  • da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonchè da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
  • da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti appena visti.

L’ente non risponde, invece, se le persone indicate hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

 

I soggetti apicali

I primi soggetti indicati dalla norma sono dunque soggetti posti al vertice degli enti e che svolgono, in concreto, attività di rappresentanza degli stessi enti, ossia li rappresentano giuridicamente nei rapporti con i terzi, ciò che avviene anche, in particolare, in forza di specifiche procure ad acta o speciali, allorché esercitino attività che impegnano la società e delle quali debbano successivamente dar conto.

Nella categoria dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione rientrano non solo i componenti dei Consigli di Amministrazione, ma anche tutti coloro che, indipendentemente dall’esercizio di funzioni esecutive, rivestano ruoli gestori e di governo: si tratta di quei soggetti che, pur privi di deleghe formali, devono vigilare sull’andamento societario.

Svolgono, infine, funzioni direttive i direttori generali, che frequentemente non sono componenti dei consigli di amministrazione ma sono, invece, variamente contrattualizzati; si tratta di soggetti che eseguono le direttive dei vertici ma, di fatto, assumono e svolgono anche funzioni operative (ciò che vale anche, negli enti suddivisi in più unità operative, relativamente a coloro che, in queste ultime, svolgano funzioni equivalenti, in quanto dotati di poteri direttivi e investiti di funzioni di controllo).

 

I soggetti subordinati

Gli enti sono tenuti a rispondere, ai sensi della 231, per i reati commessi da soggetti subordinati alla direzione, controllo e vigilanza dei soggetti apicali che abbiamo visto poco sopra.

Non solo, perché l’ente può essere tenuto a rispondere anche di reati commessi da parte di soggetti estranei all’impresa, come collaboratori esterni, agenti, fornitori, consulenti (ferme ovviamente restando le altre peculiarità dell’imputabilità).

 

L’interesse o il vantaggio dell’ente

Nella famosa sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione relativa al caso “Thyssenkrupp”, la Corte ha enunciato il principio di diritto in base al quale “i criteri dell’interesse e del vantaggio sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato …. mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito” (Cass. SS.UU. 38343/2014).

 

 

I criteri di imputazione soggettiva

 

Come accennato, la disciplina 231 è stata elaborata allo scopo di individuare anche dei criteri di imputazione soggettiva delle imprese basati, sostanzialmente, su un giudizio di riprovazione per non avere messo in atto adeguate misure, organizzative e di controllo, atte a scongiurare la commissione dei reati presupposto.

Si tratta dunque di una responsabilità basata sull’imputabilità di un comportamento manchevole, costituito dal non avere previsto un modello organizzativo aziendale in grado di evitare la commissione di particolari, gravi reati o, ulteriormente, dal non essere stati in grado di prevenirne la commissione.

 

I soggetti apicali e la prova liberatoria

Come anticipato nella prima “uscita” di queste brevi note sulla 231 (si veda il link https://studiolegalebroglia.com/2022/03/14/d-lgs-231-2001-un-viaggio-nella-normativa/), la disciplina prevede una diversa ripartizione dell’onere probatorio in dipendenza della qualifica dell’autore del reato: laddove quest’ultimo rivesta una posizione apicale, la responsabilità dell’ente sussisterà tutte le volte in cui l’impresa non sarà in grado di fornire la prova liberatoria prevista dall’art. 6, lett. dalla a alla d, ossia dei criteri che dimostrano l’adeguatezza del modello organizzativo e di controllo adottato.

 

  • La lettera “a” dell’art. 6 del D.Lgs. 231 prevede che l’ente abbia adottato e attuato un efficace modello di organizzazione e di controllo.

In relazione a tale criterio è importante evidenziare come la predisposizione di un sistema strutturato di regole, controlli, presidi e sanzioni, oltre a non essere un obbligo, non sia sufficiente, perché tale sistema dovrà essere idoneo, specificamente “ritagliato” sulla concreta realtà aziendale e, non per ultimo, costantemente migliorato e aggiornato in dipendenza delle vicende dell’impresa.

 

  • La lettera “b” prevede che per andare esente da responsabilità l’impresa dimostri di avere affidato ad un organismo di vigilanza il compito di vigilare, appunto, sul e monitorare il, funzionamento e il rispetto dei modelli, delle procedure e dei presidi adottati.

 

  • L’esenzione da responsabilità richiede, inoltre, che il Modello sia stato fraudolentemente eluso dall’autore o dagli autori del reato (lettera “c”).

 

  • Infine, l’ente dovrà provare che l’Organismo di Vigilanza abbia correttamente e diligentemente svolto i propri compiti (lettera “d”).

 

 

I soggetti sottoposti

Infine, come anticipato, nel caso dei soggetti sottoposti il regime dell’onere della prova “torna” ad essere quello classico: sarà il Pubblico Ministero onerato di provare la carenza di idoneità del modello organizzativo, delle regole, delle procedure, dei controlli e dei presidi dell’ente o la mancata sorveglianza sugli stessi di tal che tali circostanze abbiano determinato la concretizzazione del reato.

L’accusa dovrà dunque accertare se il modello contenga misure idonee e adeguate a impedire la commissione di reati o a eliminare situazioni di rischio; se tale modello sia stato periodicamente rivisitato e controllato, anche in relazione agli adempimenti in esso previsti; se sia presente un adeguato sistema disciplinare per le eventuali violazioni dello stesso.