Continuiamo l’approfondimento della normativa che ha introdotto nel nostro ordinamento la c.d. “responsabilità amministrativa” degli enti.

 

 

Come noto le disposizioni che analizziamo sono state introdotte nel 2001 in seguito alla ratifica di alcune Convenzioni internazionali in materia di lotta alla corruzione (Parigi 1997, Bruxelles 1995 e 1997).

Lo scopo principale è, come anticipato nell’articolo precedente, quello di sensibilizzare in senso preventivo dirigenti e soggetti apicali delle aziende nei confronti della possibile commissione di irregolarità e illegalità, prevedendo, per gli enti in cui prestano le loro attività, conseguenze di tipo economico e sanzionatorio.

Come pure anticipato, è opportuno ricordare che la responsabilità dell’ente va ad aggiungersi a quella dell’autore del reato.

 

 

Reati presupposto

Nel tempo il “catalogo” cc. dd. “reati presupposto”, ossia l’elenco dei reati e degli illeciti che comportano la responsabilità aziendale, si è enormemente ampliato.

Qui di seguito un elenco:

  • indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico;
  • delitti informatici e illecito trattamento dei dati;
  • delitti di criminalità organizzata;
  • concussione e corruzione;
  • falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo, in strumenti o segni di riconoscimento;
  • delitti contro l’industria ed il commercio;
  • reati societari;
  • delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico;
  • pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili;
  • delitti contro la personalità individuale;
  • abusi di mercato;
  • omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazioni delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro;
  • ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita;
  • delitti in materia di violazione del diritto d’autore;
  • induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria;
  • reati ambientali.

 

Le sanzioni

Le sanzioni sono di tipo economico, che possono giungere a importi molto elevati e di tipo interdittivo, come l’interdizione a contrattare con la pubblica amministrazione, il divieto di pubblicità, la sospensione, anche parziale o temporanea, dell’attività.

Possono, inoltre, essere irrogate anche sanzioni accessorie, come la confisca o la pubblica della sentenza.

 

Applicabilità

Le disposizioni si applicano a tutti gli enti forniti di personalità giuridica, quindi a società e associazioni, ma anche a quelle sfornite di personalità, come gli enti di fatto.

Non si applicano, invece, allo Stato, agli Enti pubblici territoriali (Regioni e Province), agli altri enti pubblici non economici e agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

 

 

Condizioni di applicabilità

Perché possa imputarsi responsabilità in capo ad un ente è necessario, dunque, che

  • sia stato commesso uno dei reati “presupposto”,
  • il reato sia stato commesso da un soggetto che si trovi in posizione apicale in seno all’ente, oppure
  • il reato sia stato commesso da un soggetto sottoposto alla vigilanza di un apicale e, di conseguenza, da qualsiasi dipendente aziendale ma anche
  • da un fornitore o da un collaboratore esterno,
  • il reato sia stato commesso nell’interesse o
  • a vantaggio dell’ente.

 

Responsabilità dell’ente

In particolare, ai sensi dell’art. 5 del Decreto, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

  • da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale o da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo;
  • da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui sopra.

L’ente, invece, non non risponde se le persone appena indicate hanno agito nel loro interesse esclusivo o in quello di terzi.

 

L’inversione dell’onere della prova

E’ importante sottolineare la differenza tra l’ipotesi di commissione del reato da parte di un apicale rispetto a quella del soggetto “sottoposto” alla direzione e vigilanza: nel primo caso, infatti, l’onere della prova di avere prevenuto la commissione dei reati mediante l’adozione di adeguati meccanismi di controllo, ossia del Modello Organizzativo e Gestionale previsto dalla 231, è in capo all’ente stesso (v. art. 6 D. Lgs. 231).

Nel caso, invece, di commissione del reato da parte di un soggetto sottoposto alla direzione e vigilanza di un apicale, l’onere della prova della inadeguatezza dell’assetto organizzativo prescelto e dell’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, sarà in carico, come ordinariamente previsto, al Pubblico Ministero (v. art. 7 D. Lgs. 231).

 

L’interesse e il vantaggio

Semplificando molto una questione che ancora oggi impegna interpreti e giurisprudenza, è probabilmente possibile affermare, in linea con la giurisprudenza dominante, che il vantaggio fa riferimento alla concreta acquisizione di un’utilità economica, come ad esempio l’aggiudicazione di un appalto e, dunque, si concreto in un dato reale, oggettivamente riscontrabile.

L’interesse fa invece perno su un dato solo potenziale, che sussiste a prescindere dalla sua concreta realizzazione, senza la necessità che questa venga effettivamente conseguita, come nel caso dell’ottenimento di una certificazione che costituisca il prerequisito per la partecipazione a gara.

Come già anticipato, il fatto che l’autore del reato abbia agito nel proprio o di terzi esclusivo interesse costituisce un limite negativo della attribuibilità di responsabilità all’ente, fermo restando che ove sussista un pari interesse della persona giuridica, quest’ultima, invece, non potrà invocare la propria assenza di responsabilità.

 

 

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