Pubblicate le attese indicazioni del Garante Italiano sulla installazione dei sistemi di videosorveglianza.

 

A motivo dell’entrata in vigore del Regolamento Europeo 679/2016 (GDPR) sulla protezione dei dati, che ha apportato numerose e importanti novità alla disciplina “privacy” (il riferimento è alla c.d. “direttiva Madre”, la dir. 95/46/UE, precedentemente in vigore), il provvedimento della nostra Autorità del 10 aprile 2010 in materia di videosorveglianza richiedeva, quanto meno, una rivisitazione, soprattutto dopo che il Gruppo dei Garanti Europei, l’EDPB, all’inizio del 2019, aveva già preso posizione su diverse e anche in parte nuove tematiche affacciatesi con l’erompere di molte nuove tecnologie.

Le Faq, disponibili da oggi sul sito dell’Autorità, contengono indicazioni di carattere generale.

 

Le questioni affrontate dal Garante

 

Le regole da rispettare

L’installazione deve avvenire nel rispetto non solo delle norme in materia di tutela e protezione dei dati personali ma di tutte quante le disposizioni di volta in volta applicabili (si pensi alla normativa in materia di lavoro e di eventuale controllo dell’attività dei lavoratori, alle norme di carattere penale che sanzionano le illecite interferenze nella vita privata altrui, ecc.).

L’accento dell’Autorità viene posto soprattutto sul c.d. principio di minimizzazione, previsto dall’art. 5 del GDPR, che prescrive, in generale, che siano trattati solo i dati effettivamente necessari, pertinenti e proporzionati rispetto alle finalità perseguite. Ciò, ovviamente, deve essere riferito anche alle specifiche modalità adottate (si pensi alla possibilità di sola visione delle immagini o anche di registrazione delle stesse, ma anche al posizionamento delle videocamere) e alle funzionalità consentite dall’apparecchio o dal sistema utilizzato (possibilità di rotazione delle camere, zoom, ecc.).

Non serve una autorizzazione del Garante

In generale non è necessaria una autorizzazione del Garante: il Regolamento Europeo pone sul soggetto che decida di effettuare un trattamento di dati personali (come deve essere considerata l’operazione di installazione e utilizzo dei sistemi in discorso) l’onere di conoscere e applicare la normativa in materia di privacy, che richiede anche la “giustificazione”, motivazione e documentazione delle scelte effettuate (il c.d. principio di accountability): di conseguenza la valutazione della liceità o meno dell’installazione dell’impianto (o dell’utilizzo della specifica applicazione) spettano al titolare, sia egli un privato o un’azienda, un gruppo imprenditoriale o un’autorità pubblica.

Le informazioni da fornire: l’informativa “cartello”

E’ sempre necessario informare preventivamente i soggetti che potrebbero entrare nel raggio di azione delle telecamere. Questa informazione può essere resa inizialmente con il noto cartello (che è stato “aggiornato” con una nuova versione) ma anche con ulteriori e più dettagliate indicazioni.

Il “cartello” costituisce la c.d. informativa “breve”, che contiene alcune indicazioni indispensabili (v. il modello qui sotto, proposto dal Gruppo dei Garanti Europei con il provvedimento 3/2019 già citato):

  • il “cartello” deve innanzi tutto essere posto prima dell’area interessata dall’azione del sistema, per dare modo alle persone di esserne a preventiva conoscenza e di comprendere quali siano le aree osservate; se l’area di ripresa è estesa, è opportuno che i cartelli siano posizionati in più punti;
  • deve contenere almeno l’indicazione del Titolare del trattamento, ossia del soggetto, dell’ente, dell’autorità che ha deciso di installare l’impianto;
  • deve contenere l’indicazione di quali siano le “finalità” perseguite dal soggetto che ha deciso di installare l’impianto e, circostanza spesso dimenticata,
  • fare riferimento, anche eventualmente con modalità tecnologicamente avanzate (QR code, link a siti web) ad una informativa completa ai sensi dell’art. 13 del GDPR.

Questo il modello proposto dall’EDPB e riportato anche dal Garante:

I tempi di conservazione

Il periodo di conservazione, salve specifiche norme di legge, deve essere deciso dal Titolare del trattamento, beninteso nel rispetto del principio di responsabilizzazione e di quello di minimizzazione, con la conseguenza che le immagini registrate non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono acquisite.

Il Garante sottolinea come nella gran parte dei casi le videocamere e i sistemi di sorveglianza siano installati per esigenze di sicurezza e di tutela del patrimonio e come molto spesso eventuali danni o eventi lesivi possano essere individuati nell’arco di uno o due giorni. Un periodo di 24 ore appare dunque nella maggioranza dei casi più che adeguato, salve eventuali protrazioni per ragioni come la chiusura del fine settimana, periodi festivi o altre specifiche necessità.

In ogni caso, quanto più prolungato è il periodo di conservazione (soprattutto se superiore a 72 ore), tanto più argomentate dovranno essere l’analisi e la documentazione relative alla legittimità dello scopo e alla necessità della conservazione.

In alcuni casi può essere necessario prolungare i tempi di conservazione delle immagini inizialmente fissati dal titolare o previsti dalla legge, come avviene allorché il prolungamento si renda necessario per dare seguito ad una specifica richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria in relazione ad un’attività investigativa in corso.

La c.d. “DPIA”: la valutazione d’impatto

La valutazione d’impatto è una particolare procedura che il Regolamento europeo prevede (si veda l’art. 35) in tutti i casi in cui il trattamento dei dati personali possa presentare un “rischio elevato” per gli interessati.

Essa è prevista in particolare se il trattamento prevede l’uso di nuove tecnologie, oppure allorché gli interessati siano soggetti considerati in posizione più “debole” rispetto a chi esegue il trattamento, come avviene nei contesti lavorativi, oppure quando il trattamento riguardi dati di carattere particolare, come oggi sono definiti i dati cc.dd. “sensibili”, oppure dati giudiziari, o ancora dati biometrici o genetici.

In realtà e per precisione le ipotesi in cui la DPIA è obbligatoria sono diverse ma, di fatto, in tutte le occasioni in cui un determinato trattamento possa avvenire mediante strumenti tecnologicamente avanzati o comportare il trattamento di dati considerati più “delicati”, essa deve essere effettuata (per approfondimenti si vedano le “Linee-guida concernenti la valutazione di impatto sulla protezione dei dati nonché i criteri per  stabilire se un trattamento “possa presentare un rischio elevato” ai sensi del regolamento 2016/679” – WP248rev.01 del 4 ottobre 2017; il nostro Garante ha pubblicato un elenco di trattamenti che devono essere sottoposti a tale valutazione nell’autunno del 2018).

A scuola e sul luogo di lavoro

Per la scuola il Garante richiama le proprie indicazioni di settore, mentre per quanto riguarda i sistemi installati dal datore di lavoro è imprescindibile ricordare le prescrizioni dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che, in sintesi, consentono l’installazione esclusivamente in presenza delle finalità costituite da:

  • esigenze organizzative e produttive,
  • tutela del patrimonio aziendale,
  • salute e sicurezza sul luogo di lavoro

e stabiliscono una precisa procedura per potervi procedere (accordo sindacale o, in mancanza, autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro).

Proprietà privata, smart cam e videosorveglianza

E’ sempre possibile l’installazione di sistemi di videosorveglianza da parte di persone fisiche che vogliano tutelare i propri beni ma, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, parti comuni delle autorimesse) ovvero a zone di pertinenza di soggetti terzi. È vietato riprendere aree pubbliche o di pubblico passaggio.

Ciò vale anche per le cc.dd. smart cam, installate nelle abitazioni per finalità esclusivamente personali di controllo e di sicurezza, con l’avvertenza che eventuali soggetti “esterni” come collaboratori domestici, baby sitter o dipendenti dovranno essere debitamente e previamente informati dal proprietario di casa (e ricordando che, seppure lo Statuto dei lavoratori non si applichi al lavoro domestico, non sono infrequenti contestazioni su asseriti illeciti utilizzi dei sistemi di cui parliamo).

In tal caso pare comunque opportuno sottolineare un’attenta predisposizione del sistema, sia per quanto riguarda il periodo di conservazione sia soprattutto per quanto riguarda le aree oggetto di visione (evitare i servizi, ad esempio) nonché le misure di sicurezza da adottare, a maggior ragione se il sistema sia connesso a Internet, come avviene ormai sempre più a motivo della diffusione di sistemi cc.dd. IoT.

Videosorveglianza in condominio

L’installazione da parte del Condominio è legittima, purché essa avvenga previa delibera condominiale con il consenso della maggioranza dei millesimi dei presenti, ai sensi dell’art. 1136 codice civile.

Il Garante precisa, richiamando quanto già visto sopra in relazione ai tempi di conservazione, soggetti alla responsabilizzazione del titolare, che sia possibile o, meglio “congruo”, in condominio, “ipotizzare un termine di conservazione delle immagini che non oltrepassi i 7 giorni.”

Dati di carattere particolare

In generale l’utilizzo di un sistema di videosorveglianza non comporta, di per sé, un trattamento di dati di carattere particolare (dati “sensibili”, dati sanitari, ecc.).

Tuttavia allorché il sistema sia utilizzato per ricavare dati di natura particolare, in tal caso il trattamento diviene soggetto a più stringenti limiti e, in particolare, alla necessità che ciò avvenga in presenza di una delle possibili eccezioni previste dall’art. 9 del GDPR.

Ciò accade, ad esempio, non solo nel caso di un ospedale che installi sistemi di videosorveglianza per monitorare lo stato di salute dei pazienti, ma anche allorché ad esempio un sistema video catturi il viso di un soggetto e ne esegua un trattamento al fine, ad esempio, di riconoscerlo.

Tale complessa tipologia di trattamenti comporta una ben più consistente necessità di cautele e di rispetto di normative, che ci sentiamo di suggerire di osservare con scrupolo.

Eco – piazzole, infrazioni stradali

I Comuni possono utilizzare telecamere per controllare discariche di sostanze pericolose ed “eco piazzole” per monitorare le modalità del loro uso, la tipologia dei rifiuti scaricati e l’orario di deposito. Ciò peraltro solo se non risulti possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi e comunque nel rispetto del principio di minimizzazione dei dati.

Previa idonea cartellonistica possono essere utilizzati sistemi elettronici di rilevamento delle violazioni del codice della strada.

I cartelli che segnalano tali sistemi sono obbligatori, anche in base alla disciplina di settore.

La ripresa del veicolo non deve comprendere la parte del video o della fotografia riguardante soggetti non coinvolti nell’accertamento.

Le fotografie o i video che attestano l’infrazione non devono essere inviati al domicilio dell’intestatario del veicolo, ma l’interessato, ossia la persona eventualmente ritratta nelle immagini, può richiederne copia oppure esercitare il diritto di accesso ai propri dati.

Le esclusioni

La normativa in materia di protezione dati non si applica al trattamento di dati che non consentono di identificare le persone, direttamente o indirettamente, come nel caso delle riprese ad alta quota (effettuate, ad esempio, mediante l’uso di droni).

Non si applica, inoltre, nel caso di fotocamere false o spente perché non c’è nessun trattamento di dati personali (fermo restando quanto previsto dallo Statuto dei Lavoratori) o nei casi di videocamere integrate in un’automobile per fornire assistenza al parcheggio (se la videocamera è costruita o regolata in modo tale da non raccogliere alcuna informazione relativa a una persona fisica, ad esempio targhe o informazioni che potrebbero identificare i passanti).

Vale la pena, tuttavia, ricordare che, pur non costituendo trattamento di dati personali, alcune decisioni dell’Autorità Giudiziaria, in relazione alle telecamere finte o non funzionanti, ne hanno evidenziato i profili di possibile responsabilità derivanti dal c.d. principio dell’apparenza del diritto (Cass.,Sez.IIIciv.,n.2311/1995).

Il provvedimento del Garante qui.