Associazioni e sport n. 6/2017

Provvedimento disciplinare e conseguenze dell’attività posta in essere dall’amministratore di società sportiva a rl

di Andrea Broglia – avvocato

Il presente scritto intende soffermarsi sulle conseguenze di natura civilistica di un provvedimento disciplinare sportivo che irroghi una sanzione di tipo sospensivo o interdittivo nei confronti di un amministratore di una società sportiva a responsabilità limitata.

Partendo dall’esame della compresenza, nel sistema, degli ordinamenti sportivo e statale e dei relativi profili di autonomia, si cercherà di verificare quali siano le responsabilità che gravano in generale sugli amministratori di società e, successivamente, su quelli delle società sportive.

Esaminando quali siano i concreti obblighi assunti dall’amministratore sportivo in sede di nomina, si verificheranno se vi possano essere conseguenze ed eventualmente rimedi, dal punto di vista dell’ordinamento statale civile, alla applicazione di un provvedimento sanzionatorio nei suoi confronti.

Giustizia sportiva, vincolo di giustizia e provvedimenti disciplinari sportivi

Il sistema della giustizia sportiva è costituito dal complesso normativo di statuti e regolamenti che, unitamente agli organi creati dal sistema stesso per il proprio funzionamento, ha lo scopo di regolamentare e di risolvere le controversie che possano insorgere tra atleti, società sportive e Federazioni e di sanzionare, eventualmente, la violazione delle norme da parte dei propri associati.

Il “vincolo di giustizia” è l’impegno che ciascun partecipante al sistema assume di adire, per la risoluzione delle vicende che riguardino lo svolgimento dell’attività sportiva, gli organi della relativa giustizia e, conseguentemente, l’obbligo di rispettarne le decisioni[1].

Una delle questioni più delicate e rilevanti del sistema della giustizia sportiva è, intuibilmente, quello della definizione e delimitazione dei confini della stessa rispetto a quelli del sistema della giustizia ordinaria: vi sono, infatti, situazioni giuridiche la cui rilevanza anche per l’ordinamento statale impone che siano affidate necessariamente alla giurisdizione del giudice ordinario o a quella, esclusiva, del giudice amministrativo; del pari e altrettanto intuibilmente esistono situazioni, ambiti e circostanze in cui determinate posizioni possono e devono essere gestite nell’ambito di una sostanziale indifferenza tra i due ordinamenti.

Frutto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale nonché sospinta da pressanti esigenze pratiche che avevano dato luogo a fatti giunti agli onori delle cronache giornalistiche sportive[2], la L. 280/2003 è intervenuta a dirimere, parzialmente, le problematiche inerenti la coesistenza dei due ordinamenti, sportivo e statale, riconoscendo e favorendo l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale quale articolazione dell’ordinamento internazionale facente capo al Cio.

Gli scopi della giustizia sportiva e i principi del processo sportivo trovano espressa codificazione nel Codice di giustizia sportiva emanato dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano[3] che, nel delineare e specificare le norme generali del procedimento sportivo e nell’indicare le diverse attribuzioni e competenze della propria giurisdizione, fissa norme di comportamento e sanzioni applicabili ai soggetti e agli Enti facenti parti delle associazioni e società sportive italiane.

Ciò nondimeno, i provvedimenti disciplinari, interdittivi e in generale sanzionatori degli organi di giustizia sportiva, benché emessi nell’ambito e in forza delle norme regolatrici di tale sistema, possono ingenerare dubbi e perplessità in relazione alle possibili dirette conseguenze sull’operato di coloro che da tali provvedimenti siano stati colpiti e, in particolare, sull’operato di coloro che, materialmente, gestiscono e conducono gli enti sportivi, ossia gli amministratori, in quanto soggetti che agiscono anche all’interno del sistema della “normale” giustizia ordinaria.

Ordinamento sportivo e ordinamento statale. La L. 280/2003

I confini e i rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statale sono stati codificati nel 2003, con la nota e già citata L. 280/2003[4] che, sostanzialmente recependo i principi generali individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti, ha sancito l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale, facendo tuttavia salvo il potere dello stato di sindacare, in alcune questioni, l’operato dei giudici sportivi.

Con la normativa in esame è stato infatti anche posto un limite all’autonomia dell’ordinamento sportivo allorché il provvedimento assuma o possa assumere una “rilevanza esterna”, ossia una rilevanza e delle conseguenze anche per l’ordinamento statale: nelle ipotesi in cui ciò si verifichi il provvedimento sportivo rimane sindacabile anche dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria[5].

La legge in esame riserva in via esclusiva al giudice sportivo le verifiche e gli accertamenti relativi all’osservanza e all’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nonché dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e delle connesse sanzioni[6]; conferma, salvo il caso di sostanziale sola incidenza sullo status dell’affiliato[7], la competenza del giudice statale laddove si discuta della tutela di diritti soggettivi ovvero di interessi legittimi. In particolare, le questioni economiche, in quanto direttamente incidenti nella sfera patrimoniale degli interessati, sono rilevanti per l’ordinamento dello stato, così come lo sono le questioni di natura amministrativa, per le medesime ragioni[8].

Vale la pena soggiungere che, con sentenza n. 49/2011, la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità della “riserva” apprestata dalla normativa in commento (L. 280/2013) alla Giustizia sportiva relativamente a tutte le questioni in materia disciplinare, per quanto limitando l’esclusione della giurisdizione ordinaria amministrativa alle sole azioni di annullamento dei provvedimenti disciplinari sportivi, giacché permane la possibilità di adire il giudice statale nell’ipotesi di azioni volte a ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione di un provvedimento disciplinare sportivo; la “riserva”, sostanzialmente, non determina una assoluta esclusione ma solo una parziale limitazione del diritto alla tutela giurisdizionale costituzionalmente riconosciuto dalla Carta Costituzionale con il proprio articolo 24[9].

L’amministratore di società e i profili di responsabilità cui è soggetto

Va da sé che, al di là delle pur rilevanti questioni che attengono il rispetto delle norme tecniche[10], disciplinari, regolamentari e organizzative sportive e l’eventuale applicazione delle sanzioni previste per la violazione di tali precetti, non pochi siano i riflessi e gli ambiti in cui l’ordinamento statale si riserva, necessariamente, un ambito di intervento: si pensi, ad esempio, ai rapporti di carattere patrimoniale tra società sportive, associazioni sportive e atleti. Con tutta evidenza è anche in tale ambito di azione che possono inserirsi e avere rilevanza i “normali” atti e attività delle persone che assumono l’incarico di gestire e rappresentare società, enti e associazioni.

La funzione amministrativa è, infatti, notoriamente essenziale in qualsiasi ente associativo, sia esso di natura imprenditoriale sia esso di natura sportiva e si affianca alla funzione deliberativa tipica degli organi assembleari: tale funzione, svolta da persone fisiche individualmente o collegialmente nominate, assume l’imprescindibile finalità di consentire, in concreto, la gestione organizzativa e decisionale della società o dell’associazione.

L’amministratore unico, socio o non socio, o il consiglio di amministrazione, nominati dall’assemblea al momento della costituzione della società[11] o successivamente, nel corso della vita sociale, allorché violino i loro doveri possono incorrere in responsabilità civili, penali e amministrative.

Gli amministratori, infatti, sono solidalmente responsabili per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, salva la dimostrazione, nel caso sia previsto il consiglio di amministrazione, di essere stati esenti da colpa e, ove a conoscenza dell’atto che si stava per compiere, di aver fatto constare a verbale il proprio dissenso[12].

Indipendentemente dal modello gestionale prescelto, agli amministratori è richiesto, nello svolgimento dell’incarico, un dovere di diligenza professionale il cui parametro di riferimento è il generale concetto di corretto adempimento dell’obbligazione contrattuale, sebbene con la specificazione che, nel caso di specie, è necessaria la più elevata diligenza dell’accorto gestore di un patrimonio altrui[13].

I profili di responsabilità degli amministratori sono diversi: essi rispondono solidalmente a) verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, così come b) verso il singolo socio e il terzo per i danni che siano direttamente causati da atti eventualmente dolosi o colposi; peraltro, pur non espressamente prevista dalla legge, la giurisprudenza ritiene direttamente applicabile anche una responsabilità c) verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale[14].

Due sono, pertanto, gli elementi costitutivi di tali responsabilità: nell’operato dell’amministratore deve essere ravvisabile la violazione di obblighi derivanti dal suo ufficio e, per l’effetto di questa violazione, deve ulteriormente essere accertato che sia stato recato un danno o un pregiudizio, in particolare, al patrimonio sociale.

Gli amministratori, per legge, devono adempiere ai propri obblighi con la diligenza del mandatario[15] e, segnatamente, in virtù di quanto stabilito dall’articolo 1710, cod. civ., con la diligenza del bonus pater familias, ossia quella diligenza che è normalmente richiesta a qualsiasi debitore nell’adempimento della propria obbligazione[16]; essa si riassume nel complesso di cure e cautele che, in relazione alle circostanze di fatto del caso concreto, il debitore deve normalmente impiegare al fine di soddisfare l’obbligazione che lo vede coinvolto nel rapporto contrattuale.

Va da sé, tuttavia, che le capacità e le qualità personali dell’obbligato, ossia dell’amministratore, siano innegabilmente connesse allo svolgimento delle mansioni cui è chiamato, in evidente e ovvia relazione con le finalità, le motivazioni e i compiti che sottendono al diretto affidamento dell’incarico.

Il parametro di riferimento della diligenza sarà dunque rinvenibile di volta in volta in relazione al caso concreto, con innegabile riguardo alle aspettative di coloro, soci e società, che hanno concretamente provveduto alla nomina del soggetto in questione.

Sembra dunque corretto affermare che vi sia una graduazione della diligenza dovuta dai singoli amministratori in relazione alle differenti e più o meno complesse attività necessarie alla corretta gestione dell’ente, senza dimenticare le qualità personali dell’amministratore stesso, in uno con le ragioni dell’incarico assunto o demandato.

In una organizzazione di natura associativa la funzione amministrativa si compie con una serie di attività che permettono all’ente di realizzare il proprio scopo. Le norme non delineano un elenco specifico e tassativo degli obblighi che, nell’espletamento dell’incarico, vincolano gli amministratori e non fissano limiti o divieti, se non in casi particolari[17]. Peraltro, a fronte del rilievo che la legge indica solo alcuni dei doveri cui gli amministratori sono tenuti, assume particolare importanza la previsione statutaria di specifici obblighi che, in relazione al concreto atteggiarsi della vita sociale o al concreto scopo perseguito, possono necessitare di apposita previsione, in uno con la esplicita indicazione delle conseguenze di eventuali violazioni, il tutto al fine di semplificare la vita sociale in momenti complessi o in circostanze particolari.

Se, comunque, esistono obblighi che gravano sugli amministratori e la cui violazione è di per sé sufficiente al sorgere della loro responsabilità, in generale essi sono tenuti a gestire l’ente con diligenza, con la conseguenza che il comportamento da tenersi dovrà essere individuato di volta in volta e caso per caso.

L’amministratore della società sportiva

Appare dunque intuitivo che l’amministratore della società nello specifico sportiva sia o debba essere investito anche degli obblighi scaturenti dal particolare scopo che la società dal medesimo guidata si prefigge e in relazione alla particolare natura dell’attività che pone in essere.

Altrettanto importante pare il rilievo che, proprio a causa della mancanza di un elenco legale e tassativo degli obblighi e dei divieti imposti agli amministratori, si prevedano, in sede costituente o successivamente, non solamente concreti e analitici parametri di comportamento, ma anche dettagliate conseguenze che derivino dall’eventuale violazione degli stessi.

Se quanto appena sottolineato assume particolare importanza in presenza di amministratori delegati[18], notoriamente nominati al fine di snellire le molteplici attività sociali, nondimeno la natura di ente sportivo e la partecipazione e l’affiliazione non solo a enti di natura nazionale ma anche sovranazionale, impongono l’adesione e il rispetto, da parte dell’organo gestore della società, oltre che dei principi statutari, anche di quelli delle federazioni di appartenenza.

Abbiamo visto più sopra[19] come, in base alla previsioni della L. 280/2003, le questioni relative all’osservanza delle norme regolamentari, organizzative e statutarie da parte delle associazioni e delle società, i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare degli associati derivanti dalla violazione di norme interne all’ordinamento sportivo, risultino, sostanzialmente, irrilevanti per l’ordinamento statale[20]; diversamente, esaurite le eventuali fasi previste da clausole compromissorie, come possano assumere rilevanza per l’ordinamento statale le attività che le federazioni sportive devono svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni e del Cio, così come acquistino, pure, rilevanza per l’ordinamento statale le controversie concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti[21].

Si tratta ora di indagare, esaminate brevemente le diverse tipologie di sanzioni comminabili dal sistema di giustizia sportiva, quali conseguenze possano avere provvedimenti di natura disciplinare irrogati nei confronti degli amministratori per esaminare, infine, se gli effetti derivanti dall’ordinamento sportivo possano avere conseguenze di natura civilistica su atti per ipotesi posti in essere nel corso della “normale” amministrazione da parte del legale rappresentante.

Le sanzioni “sportive” applicabili. Cenni

Le sanzioni comminabili in ambito sportivo, ossia le pene che vengono inflitte dall’organo giudicante[22] a coloro che sono sottoposti ai procedimenti disciplinari, si distinguono generalmente in funzione del soggetto che viene condannato: vi sono, infatti,

  • sanzioni a carico dei tesserati,
  • sanzioni a carico delle società e
  • sanzioni a carico dei dirigenti[23].

Tra le diverse sanzioni comminabili dal sistema di giustizia sportiva troviamo provvedimenti sanzionatori quali l’ammonizione, la deplorazione, la sanzione pecuniaria e/o ammenda, la sospensione a tempo determinato dall’attività sportiva e la revoca dall’affiliazione, sino a giungere alla radiazione. Ulteriormente, a carico dei Dirigenti federali, sono possibili provvedimenti di sospensione temporanea dalla carica e di interdizione perpetua a ricoprire cariche federali.

Provvedimenti che possono dunque colpire chi amministra e gestisce una società o un ente sportivo.

L’amministratore di società destinatario di provvedimento della giustizia sportiva.

I cenni più sopra svolti consentono di affermare che nei casi in cui l’ordinamento sportivo reagisca di fronte a violazioni o inosservanze di natura tecnica, disciplinare, statutaria o regolamentare da parte di propri associati e, nello specifico, da parte di amministratori di enti, società e associazioni sportive, le sanzioni e i provvedimenti eventualmente irrogati, sanzionatori o interdittivi, non abbiano alcun rilievo per l’ordinamento statale e, pertanto, nessuna diretta incidenza sull’eventuale attività di natura “civilistica” posta in essere dal legale rappresentante nello svolgimento della propria ordinaria attività gestionale.

Tali provvedimenti sono destinati a rimanere all’interno del sistema dell’ordinamento sportivo e le eventuali possibili controversie che ne possano derivare, anche di tipo impugnativo, rimangono al di fuori della giurisdizione statale.

Gli amministratori delle società a responsabilità limitata, infatti, cessano di ricoprire tale incarico solo in caso di:

  • scadenza del termine, se indicato nell’atto costitutivo;
  • dimissioni;
  • revoca;
  • decadenza;

Di conseguenza, in assenza di una disciplina legale specifica, è altamente consigliabile che i soci o gli associati regolamentino espressamente, nell’atto costitutivo, i casi in cui ritengano rilevanti le conseguenze di un eventuale provvedimento sanzionatorio o interdittivo irrogato a carico di un proprio amministratore[24]. In mancanza di tale regolamentazione, infatti, alle società a responsabilità limitata si applicano, per analogia, le norme stabilite per le società per azioni in tema di scadenza del termine, dimissioni e decadenza.

Limitando la presente analisi ai casi di decadenza e di revoca, la prima ipotesi si verifica allorché sopravvengano cause di ineleggibilità, incompatibilità o di decadenza statutaria, che, con sempre maggiore frequenza, vengono correlate al venir meno dei particolari requisiti richiesti per diventare amministratore della società.

Per quanto riguarda la revoca, essa, in mancanza di uno specifico richiamo alle norme previste in tema di Spa[25], si ritiene possa sempre essere decisa con decisione dei soci, salvo il diritto, se effettuata senza giusta causa, al risarcimento dei danni per gli amministratori nominati a tempo determinato; resta inteso che per quelli nominati a tempo indeterminato debba comunque essere riconosciuto un congruo preavviso[26].

La cessazione per effetto di revoca può avere effetti immediati o meno, a seconda della causa che l’abbia provocata: allorché l’effetto sia immediato, gli amministratori cessati non esercitano più alcuna funzione all’interno della società mentre, in caso contrario, essi restano in carica con pienezza di poteri sino all’accettazione dell’incarico da parte dei nuovi nominati.

Poiché la legge non prevede una particolare disciplina in materia, è assolutamente consigliabile che i soci determinino, in sede costituente, precise regole per la sostituzione degli amministratori, non solo prevedendo ipotesi “classiche” di necessarie sostituzioni derivanti da questioni ordinariamente trattate nell’ambito dell’ordinamento statale, ma anche derivanti da questioni discendenti dall’eventuale sottoposizione dei propri amministratori ai giudizi dell’ordinamento sportivo.

In tema di pubblicità deve essere infine ricordato che la cessazione degli amministratori deve essere iscritta nel Registro Imprese a cura dei soci o dell’eventuale consiglio sindacale, se esistente; è noto che una tale pubblicità ha solo effetto dichiarativo e non costitutivo, con la conseguenza, da un lato, che in mancanza di tale iscrizione l’amministratore non è responsabile per gli atti compiuti dalla società successivamente alla sua cessazione[27] ma, dall’altro, che la società rimane responsabile verso i terzi di buona fede i quali possono considerare validi e impegnativi gli atti posti in essere dall’amministratore cessato, salvo che la società provi che essi fossero a conoscenza di tale cessazione[28].

Conclusioni

La sommaria disamina delle questioni trattate consente di giungere alla conclusione che, pur in presenza di un provvedimento sanzionatorio o interdittivo, anche di tipo estremamente grave o, in ipotesi, disonorevole, comminato nei confronti di un amministratore di società sportiva, il sistema civilistico statale non appresti né preveda una diretta conseguenza o precisi effetti che si riflettano su poteri, capacità giuridica o di agire del “colpevole”: egli continua, pertanto, ad assumere su di sé la piena facoltà di impegnare l’ente del quale ha la rappresentanza, potendo proseguire a stipulare contratti, a contrarre debiti, ad assumere impegni della più varia natura.

Se, però, il provvedimento disciplinare sportivo non ha una diretta conseguenza nell’ambito dell’ordinamento dello stato, nondimeno esso può avere una diretta influenza sullo speciale e specifico rapporto che lega l’amministratore alla società e ai soci che lo hanno nominato.

È questa, in fondo, una delle ragioni che spingono enti e società sportive a dotarsi di codici etici e a prevedere, all’atto della nomina, sia essa effettuata in sede costituente o successivamente, specifiche clausole redatte ad hoc per affrontare problematiche quali quelle fin qui esaminate, così come, in particolare, a prevedere l’immediata decadenza dell’amministratore colpito da sanzioni a seguito dell’accertamento di gravi e documentati comportamenti in violazione delle norme dell’ordinamento sportivo.

In alternativa, appare opportuno il suggerimento della previsione di specifici procedimenti endosocietari tesi a giungere alla revoca delle persone che, pur nominate per lo svolgimento di attività complesse e particolari, si siano dimostrate, a seguito del definitivo esperimento dei giudizi sportivi, non all’altezza dell’incarico assunto.

 

[1] Le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l’onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Coni e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16, D.Lgs. 242/1999 (Disposizioni sul riordino del Coni), gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo (articolo 2, comma 2, L. 280/2003).

[2] Ci riferiamo ai noti casi “Catania Calcio”, del 1993, “Butch Reynolds” del 1992 e dei “pallavolisti cubani” del 2003, emblematici delle problematiche afferenti la compresenza dei sistemi di giustizia ordinaria e sportiva e di quelle allora in essere tra i rispettivi ambiti di giurisdizione; sul “caso Catania”: Diritto e Giustizia, 2003, 31, pag. XI-XII dell’inserto speciale “Storie da TAR…sport. I quattro mesi che hanno sconvolto il calcio”.

[3] I Principi di Giustizia Sportiva sono contenuti nella Deliberazione n. 1519 del Consiglio Nazionale Coni del 15 luglio 2014; il Codice di Giustizia Sportiva è stato emanato, da ultimo, con Deliberazione del Consiglio Nazionale n. 1538 del 9 novembre 2015 e approvato con Decreto Presidente Cons. Ministri del 16 dicembre 2015.

[4] Legge con cui è stato convertito il noto “decreto salva calcio”, il D.L. 220/2003.

[5] È noto che il dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, prende le mosse dalle problematiche, che esulano i confini di questo breve scritto, discendenti dalle questioni che sorgono dalla previsione della clausola compromissoria sottoscritta da affiliati e associati in sede di tesseramento, in base alla quale le controversie insorgenti in ambito sportivo devono essere risolte da organismi, appunto, sportivi appositamente costituiti; così come, ulteriormente, la natura di norma regolamentare del c.d. “vincolo di giustizia”, in base alla quale sarebbero sottoposti agli organismi sportivi solo i temi derivanti da provvedimenti dell’autorità sportiva non determinanti lesioni di diritti soggettivi o interessi legittimi, abbia generato un nutrito dibattito giurisprudenziale e dottrinale, non integralmente sopito, a dire il vero, dalla Legge appena citata (L. 280/2003). Sul punto si veda anche il paragrafo 1.

[6] Articolo 2, L. 280/2003. La previsione discende dalla nota decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, resa in data 26 ottobre 1989, n. 4399, alla quale si è poi adeguata, generalmente, la giurisprudenza.

[7] Si veda anche, sul tema del difetto di giurisdizione del giudice ordinario nel caso di questioni aventi a oggetto i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive, Tribunale di Roma, sentenza n. 11496/2015.

[8] Cons. di Stato, Sex. VII, 30 settembre 1995, n. 1050.

[9] Si veda, in tema, il commento di E. Lubrano in Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, Vol. VII, Fasc. 1, 2011.

[10] Quali ad esempio quelle destinate a garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni e competizioni sportive.

[11] Articolo 2463, comma 2, n. 8, cod. civ.: “L’atto costitutivo deve indicare… le persone cui è affidata l’amministrazione…”.

[12] Si veda l’articolo 2476, cod. civ., comma 1 e, per le associazioni, l’articolo 18 stesso codice.

[13] L’articolo 1176, comma 2, cod. civ. recita: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza” del buon padre di famiglia richiesta dal comma 1 “deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.”

[14] Si veda, sui criteri di quantificazione del danno risarcibile in caso di responsabilità degli amministratori, Cassazione SS. UU. n. 9100/2015.

[15] Come nel mandato (Articoli 1703 e ss., cod. civ.) la diligenza richiesta all’amministratore ha la funzione di integrare il contenuto della prestazione dovuta, a motivo della discrezionalità insita nell’attività di gestione di interessi altrui. Cfr., in generale, R. Weigmann, voce Soc. per Azioni, in Digesto, Disc. Priv., Sez. Comm., vol. XIV, Torino, 1997.

[16] Cfr. nota 13.

[17] Si pensi, ad esempio, a quanto stabilito dall’articolo 2475-ter, cod. civ. in tema di conflitto di interessi: “I contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima, possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto di interessi era conosciuto o riconoscibile dal terzo.”

[18] L’amministratore delegato è solitamente espressione di una previsione statutaria o di una delibera assembleare; la sua nomina e l’individuazione degli specifici compiti spettano sempre al consiglio di amministrazione; la relazione che si instaura tra C.d.A. e A.D. è determinata sulla base della delega conferita al soggetto investito, con il precipuo scopo di garantire all’ente una gestione agile ed una attitudine decisionale rapida quale è quella di un soggetto che opera individualmente: per tali motivi è del tutto evidente che quanto si va esponendo nel testo in merito alla opportunità di una efficace previsione di specifici obblighi ma anche di precise conseguenze in caso di violazione degli stessi, sia a maggior ragione e più facilmente individuabile e gestibile dallo stesso CdA in sede di conferimento dello specifico incarico all’A.D..

[19] Paragrafo 2.

[20] Articolo 2, L. 280/2003.

[21] Articolo 3, L. 280/2003. Una compiuta disamina del quadro normativo in essere, con richiami ai precedenti giurisprudenziali in materia, è contenuta in Cassazione SS. UU. n. 5775/2004.

[22] Si veda Codice di Giustizia Sportiva, cit. alla nota 3.

[23] Si veda, ad esempio, Codice di Giustizia Sportiva della Figc, articoli 16 e ss., approvato con deliberazione del presidente del Coni n. 112/52 del 31 luglio 2014.

[24] Si ritiene generalmente ammissibile, per esempio, l’inserimento, in atto costitutivo, della clausola c.d. simul stabunt simul cadent, in base alla quale il venir meno di uno o più amministratori comporta la decadenza immediata dell’intero c.d.a.: si veda Cassazione n. 18597/2008.

[25] Si veda l’articolo 2383, comma 3, cod. civ..

[26] In tal senso: Tribunale di Ascoli Piceno n. 118/2010.

[27] Egli non può nemmeno procedere autonomamente alla relativa pubblicità.

[28] Si veda Cassazione n. 1886/1994.